GIOVANEZZA
Nella via popolosa
(e l’aria è grigia di pioggia, autunnale)
consunto il volto e le membra dal male,
di un negozietto sull’uscio (né cosa
di quel piú oscura è nell’oscura via)
sta un giovane seduto.
Non par che soffra; ascolta in pace, muto,
l’organetto che suona.
Lo guardo; ha in volto popolar fierezza.
E dall’interno un’altra giovanezza
tiene in lui l’occhio nero, di pietà
colmo, del vano dei poveri amore,
quale può solo amare,
e non salvare.
«Ai primi freddi – pensa – morirà».
Amorosa o sorella?
O l’una e l’altra? La povera gente
non li cura che passa; ed io, dolente,
sento a un tratto per essi, sento quella,
diversamente triste, al cor tornarmi
mia giovanezza prima.
Poi la vita mi prese, che sublima,
se non stronca, il dolore;
con le sue mani mi prese spietate
e benedette; e da me s’ebbe alate
fra i tormenti parole, s’ebbe amari
rimbrotti; udire ella non parve alcuna
di mie querele umane,
prese vie strane,
e a mèta mi portò cui vengon rari.
O voi che il dolor strinse,
a cui sta presso, o vi pare, la morte;
giovane sventurato e della sorte
di lui pietosa; povertà lo vinse,
piú forse ancora del morbo; ed io grande
non proverei stupore,
se qui, tra un anno passando, egli fuori
trovassi ancor seduto,
se non di sanità fiorente, almeno
piú lieto in volto, e il negozietto pieno,
non come adesso, di grame verzure,
ma di quante piú belle e piú ridenti
frutta ha la stagione.
La mia canzone
tanto vi rechi – se un bene – o creature.
Tre poesie fuori luogo
da 'Il canzoniere' di Umberto Saba - Letteratura italiana Einaudi